Tra la fine dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento, nell’entroterra più aspro dell’isola, non c’era via di scampo per le popolane: erano sante o puttane. Era la Sicilia povera, disperata e affamata. Erano gli anni della rota (ruota), dove le madri abbandonavano i loro figli illegittimi appena nati, e delle rotare, che accoglievano i trovatelli affibbiandogli nomi e cognomi eccentrici e strampalati con cui poi venivano battezzati. Erano bimbi illegittimi, che la gente del luogo chiamava proietti perché nati da donne allegre (il più delle volte vicine all’entourage familiare) che non volevano essere identificate. Ma certi nomi o cognomi rimanevano per sempre marchi indelebili e non lasciavano dubbi circa le origini dei proietti. Come nel caso dei cognomi Trovato, Proietto, Di Dio, o di quelli ispirati alla buona sorte, come Amore, Sereno, Allegro, Sorriso. Altri ancora erano suggeriti dal periodo dell’abbandono e dal mondo animale, come nel caso dei cognomi, Primavera, D’Aprile, Maggio, Pasqua, Di Natale, o Delfino e Aquila; per finire a quelli che scadevano nella volgarità o nel ridicolo, come Folle e Piritollo.
A Sutera, come in tutto il nisseno, soprattutto nei Comuni minerari, le donne che si prostituivano erano tante e il meretricio, nonostante la paura delle malattie veneree e le regole emanate per il suo esercizio, rimaneva una pratica molto diffusa per la povertà insopportabile e la disperazione. C’erano le donne allegre “innamorate”, una sorta di cortigiane di quel tempo; c’erano le concubine, che frequentavano uomini di elevato ceto sociale; le “cantunere”, ovvero quelle di strada; le prostitute “di partito” che esercitavano nei luoghi autorizzati; e in ultimo, le “schiave”, quelle costrette a prostituirsi con la violenza. A qualunque categoria appartenessero, erano comunque tutte “ruvina” famiglie. Il mercimonio che le donne facevano delle loro carni era imponente e il degrado era così diffuso che, tra il 1887 e il 1929, l’Opera Pia Calafato di Caltanissetta raccolse ben 1.462 trovatelli, di cui 816 femmine e 646 maschi. E nel solo borgo di Sutera se ne registrarono 52, di cui tre riconosciuti tempo dopo e 11 morti quasi subito, segno dell’estrema povertà dei genitori che non potevano provvedere neanche alla loro sepoltura.
All’inizio del secolo, la prostituzione continuava a sopravvivere tra proibizione e tolleranza. Non era cambiato granché rispetto ai tempi del Regno delle Due Sicilie, quando Alfonso d’Aragona, legalizzando a Messina l’apertura del primo lupanare pubblico, già nel 1432 aveva rilasciato ad un suo confidente una reale patente di roffiano perché le meretrici potessero concedersi con più decoro in uno stabile civile.
Fu allora che un suterese particolarmente morigerato, Edoardo Fusconi, cercando un modo per far rispettare la decenza e contenere i rischi per la salute dei suoi concittadini, appellandosi all’aiuto del prefetto della provincia, in una lettera accorata scrisse: “Esistono in Sutera molte prostitute, delle quali non poche sono ammorbate, e la salute pubblica viene quindi seriamente compromessa. Di fatti non pochi giovani sono ammalati di malattie veneree e sifilitiche, fra i quali se ne annoverano ammogliati, con gravissimo scandalo dei figli e della famiglia ancora. Le prostitute suddette non essendo patentate, hanno libero accesso nelle private famiglie e incitano per ciò i giovani ancora imberbi e le zitelle alla corruzione, perché ignari del mondo. A porre argine a siffatta fiumana invadente di corruzione, il sottoscritto prega caldamente la S.V. I. volersi degnare ordinare a questa autorità di fare visitare dal medico condotto, non una sola volta, come si fece pel passato, ma spesso e nello stesso tempo, possibilmente patentarle. La S.V.I. si avrà la benedizione di tutti i comunisti di Sutera se accetterà l’umile mia preghiera e farà divenire felici moltissime famiglie, dove per la causa cui sopra, regnano la desolazione, lo sconforto e la guerra civile continuamente…devotissimo servo Edoardo Fusconi”.
Fu così che, dopo la patente di “roffiano”, a Sutera arrivò anche quella di puttana. “Una di quelle patenti – scrive nel suo blog Gero Difrancesco, ex primo cittadino del paese – era stata affibbiata nel 1914 ad una ragazza illegittima il cui cognome rimandava alla persistenza dell’allegria, che all’età di 16 anni “più volte era stata rimpatriata dalla questura di Palermo, per l’esercizio del meretricio, perché minorenne…”. La strana coincidenza di un destino beffardo volle che quel cognome fosse “Sempreallegra”.
Di Stefania Sgarlata