Quella tragica mattina del 4 luglio del 1916, quando si sentì il primo scoppio violentissimo, c’erano più di cinquecento operai nelle miniere di Cozzo Disi e Serralonga di Casteltermini, in provincia di Agrigento. I boati sordi e continui, uno dietro l’altro per diverse ore, trasformarono subito le solfare in un inferno di fuoco, che a tanti rese impossibile ogni via di fuga.
Alla prima esplosione i minatori terrorizzati fuggirono tra le colonne di fumo. Molti di loro riuscirono a salvarsi attraverso le uscite di sicurezza e varchi alternativi, altri non tornarono più indietro e morirono laggiù: chi per le ustioni, chi per avvelenamento, chi per asfissia. Fu questa la sorte dei 66 uomini che lavoravano nella sezione Giambrone. La stessa sorte che coinvolse anche i 23 operai della solfara comunicante di Serralonga che tentarono di scappare al primo rombo della Cozzo Disi, ma percorsi un centinaio di metri non ebbero scampo: furono investiti dal grisou e morirono. Alle grida di aiuto, partirono subito i soccorsi. Tra i primi a scendere nella miniera il capomastro Giovanni Todaro, che pagò con la vita il suo coraggio.
Vennero organizzate altre squadre di salvataggio, che tentarono di salvare altri uomini per una decina di giorni. A distanza di quasi quaranta ore dalla prima esplosione furono strappati da quell’inferno due ragazzi, di cui uno però non sopravvisse, e un terzo minatore che era riuscito a ripararsi nel locale delle caldaie. Miracolosamente sopravvisse dopo giorni anche il giovane Vincenzo Vutera, che riuscì a passare dalle gallerie di Cozzo Disi a quelle di Serralunga rifugiandosi anche lui nella sala caldaia dopo avere praticato un buco nella muratura dell’imbocco.
Per il disastro delle due miniere, nel 1919, il direttore della solfara Giuseppe Cordaro di Caltabellotta, gli esercenti della miniera Attilio Parisi e Vincenzo Palumbo Macrì di Casteltermini e i capimastro Antonino Cordaro e Ignazio Papalino di Casteltermini furono accusati di negligenza e imperizia nella professione e di inosservanza dei regolamenti. Durante il dibattimento vennero interrogati anche diversi testimoni ed esperti, chiamati dal Tribunale penale di Girgenti per studiare le cause della tragedia. Tuttavia, secondo i giudici le relazioni dei periti esprimevano solo ipotesi in quanto “difficile costatare quali fossero state le condizioni della miniera prima della tragedia”. Le prove non furono ritenute sufficienti a emettere una sentenza di condanna e gli imputati furono assolti per insufficienza di prove.
Di Stefania Sgarlata
La miniera tra ieri e oggi. La Cozzo Disi è stata una delle miniere più importanti tra le solfatare italiane, l’ultima ad essere chiusa nel 1988. Oggi rappresenta un esempio di archeologia industriale. Grazie alla legge regionale 17 del 15 maggio 1991 è stata trasformata in “miniera museo Cozzo Disi”