Nino Seviroli ci racconta la sua storia di emigrazione in Belgio che s’intreccia con quella di altri siciliani e che fa affiorare la bellezza dell’integrazione in luoghi che, seppur con sofferenza e forme di sfruttamento, si sono lentamente trasformati in spazi d’inclusione sociale
Quando si apre la porta della biblioteca comunale di Aragona non si fa neppure a tempo ad aprir bocca che Nino ti viene incontro stendendo la sua mano aperta e accogliente. Da queste parti ogni viso ignoto o poco noto è subito identificato come “furisteru”. In pochi giri di sguardi e con un paio di dettagli osservati all’interno della ex chiesa sconsacrata del Purgatorio, si schiude lo spazio alla memoria e alla storia. Ed ecco la storia di queste terre, ed ecco le storie di queste genti, storie semplici, diverse ma incredibilmente toccanti e forti.
Sono lì quelle storie e attendono solamente di essere svelate, di essere note a orecchie curiose e fameliche di conoscenza. Quelle storie, narrate all’interno di quel luogo, aprono il sipario ad altre storie odierne e tragicamente attuali, quelle degli immigrati, quelle di chi, sfidando la paura e abbracciando il coraggio, giunge da altri continenti, lì, ad Aragona, per sbarcare il lunario e soddisfare le proprie speranze.
Allo stesso tempo, Aragona continua ad assistere alla fuga dei propri giovani che in maniera inarrestabile abbandonano ancor oggi il paese in cerca di un futuro diverso e di un lavoro certo.
Lì, in quella cittadina di poco più di novemila abitanti c’è il più alto tasso di emigrazione del Belpaese. Una persona su due è andata via dai vicoli, dai cortili, dalle scalinate e dalle campagne assolate di Aragona.
In questo vortice storico a doppio senso, di chi va e di chi viene, gli immigranti vengono accolti nella luminosa area della biblioteca proprio da Nino e dai suoi collaboratori per ricevere i semi del buon umore e un pezzettino di umanità attraverso letture, racconti e scambi che consentono loro di apprendere l’italiano.
Siamo curiosi e anche noi vogliamo conoscere le narrazioni di Nino Seviroli. Ma chi è Nino? “Sugnu Nino,. Non sono dutturi, prufissuri, ‘ngnigeri, sugnu Ninu, sono me stesso e basta”. Così preferisce presentarsi e essere ricordato e così sarà anche per noi. .
Per quella società che privilegia le etichette e la necessaria identificazione delle persone in ruoli sociali, Nino è un artista aragonese, maestro elementare, assistente sociale, bibliotecario, ma per noi è il nostro Nino.
Lasciò Aragona a ventuno anni per rientrare successivamente in terra natìa nella quale in diverse forme e modalità prova a raccontare la vita attraverso la musica, la chitarra, la voce, il canto, attraverso il teatro e il cinema. Nino è anche un cantastorie dell’emigrazione.
Tiene molto a dirci che in primis fu un allievo dell’enorme uomo di teatro agrigentino Pippo Montalbano. “Lo ricordo sempre con quel sorriso particolare, unico, e con quel pizzico paternale sulle guance. Pippo è il mio maestro”.
Sono tanti i lavori e le collaborazioni di Nino in cinque lustri di teatro e di recitazione. Da Domenico Modugno a Andrea Camilleri, da Nicola Palmeri a Massimo Puglisi, da Pino Passalacqua a Paul Meyer e Anne Michotte registi de La mémoire aux alouettes, film che rievoca la tragedia nella miniera di Marcinelle, nel 1956, nel quale Nino ha avuto un ruolo di spicco nel ruolo di un emigrato raccontando così l’epopea dei minatori. Sono davvero tante le sue cooperazioni e le sue produzioni.
“In venticinque anni di teatro la lista è lunga ca mancu m’arricordu, ma un altro tra tutti che voglio menzionare è Biagio Chiappara, amico, sì, ma anche lui mio grande maestro” afferma commosso Nino che poi termina raccontando dei suoi viaggi per il mondo fatti per portare in giro il suo teatro, da Montreal a Washington, da La Louvière a buona parte dell’Italia.
Ma il Nino che abbiamo incontrato oggi è l’uomo libero che disegna con la sua apertura e i suoi occhi lucidi un vivere che fu. Nino ci racconta la sua storia di emigrazione che s’intreccia con quelle di tanti altri siciliani e che fa affiorare la bellezza dell’integrazione in luoghi che, seppur con sofferenza e forme di sfruttamento, si sono lentamente trasformati in spazi d’inclusione sociale.
Ci invita a entrare nella Storia per conoscerla da punti e prospettive differenti. La sua voce narrante ripercorre le epoche, le scolpisce della quotidianità e della semplicità delle generazioni emigrate in Belgio. Il suo raccontare entusiasmato alterna le gioie e il dolore, l’armoniosa empatia tra “paesani” all’estero che si ritrovano da “esseri umani” attorno a qualche birra Au Café e la tragedia del duro lavoro nelle miniere di carbone.
Paesani conoscitori della sofferenza, spesso anche della morte mentre per i più fortunati sbocciano orizzonti di benessere e ben vivere. Con trasporto e passione viene scattata una fotografia di un passato che è presente per Nino il quale, molto commosso, ci confessa “in realtà io dal Belgio non sono mai tornato”.
Quel raccontare è un libro di storia da tramandare e non può non essere conosciuto specie dalle più giovani generazioni. Non possono le parole per iscritto riuscire a trasmettere la genuinità del cantastorie, la sua creatività nell’illustrare aneddoti e vicende e soprattutto non sono in grado, le parole, di arricchire in egual misura la persona che le riceve della potenza e dell’irruenza delle emozioni.
E’ per quello che abbiamo deciso di racchiudere la rimpatriata con Nino in una video intervista nella quale le rievocazioni reclamano con veemenza il dovere di trasmissione di uno spaccato di esperienza italiana, oggi ahimè, vissuta da altri popoli e da altre genti del mondo, che deve essere protetto come se fosse un’eredità umana e culturale dell’intera umanità.
“A la santé!” come direbbe Nino.
di Dario Lo Scalzo
Vi invitiamo dunque a visionare e a godere di questa vera e propria testimonianza di Storia alla quale abbiamo volutamente accostato alcune immagini dell’Aragona di oggi.