SICILIA DELLE MERAVIGLIE. Il cuore di Butera oggi batte lento. Silenzioso e lontano da tutto, l’antico borgo è sospeso su una collina secca del nisseno, circondata a strapiombo da valloni aridi che dominano la Piana di Gela, in un paesaggio che ridisegna la sua storia rurale ed economica. E’ difficile arrivarci, ma vale la pena e non lascia indifferenti. Quando si sale per i tornanti scoscesi, dove sbucano aggrappati ai muri pale e fichidindia, non si vedono altre strade: l’orizzonte è il cielo. C’è una naturale bellezza che sembra riprendere il suo corso grazie al suo Nero d’Avola, al suo mare, a due castelli, ai mandorli, gli ulivi, “le cchiàppari” (pomodori essiccati al sole) e la pasta con il miele. Le stesse eccellenze che l’hanno resa protagonista di recente all’Expo di Milano insieme a Lampedusa e Licata, affermandosi tra gli itinerari del gusto più “saporiti” del golfo di Gela.
Un tempo era la “Città del castello” e nobile contea, uno dei più estesi feudi normanni della Sicilia, che comprendeva anche le terre di Aidone e Piazza Armerina. Oggi è un piccolo comune, che sembra sopravvivere al passare delle stagioni, dove i decessi superano le nascite, la fuga dei pochi giovani è già cadenzata e la povertà continua a salire. Sono più i buteresi sparsi per il mondo che quelli rimasti. E dei 10mila abitanti del 1951 oggi l’abitato non arriva a 5mila anime, la maggior parte anziani: lo stesso destino di tanti altri borghi medievali dell’isola spogliati della propria gente. Ma i buteresi che sono andati via non l’hanno ancora dimenticata. A tenere vivo il ricordo per fermare il declino ci ha pensato Don Aldo, il parroco di Santa Maria Ausiliatrice, con la sua “Bot Tv Ecclesia”, trasmettendo in video streaming ogni celebrazione, messe e funerali, matrimoni e concerti. E’ così Butera è entrata nelle case del mondo facendo riconoscere agli emigrati luoghi, tradizioni e perfino i parenti.
Una volta arrivati in paese, percorrendo le stradine acciotolate di un centro storico solitario, ci si imbatte quasi subito in un sontuoso castello arabo normanno dell’XI secolo, ancora in ottimo stato di conservazione. All’interno un Antiquarium, i cui reperti raccontano la straordinaria storia archeologica della Rocca di Butera con il suo insediamento pluristratificato, dall’età preistorica a quella federiciana, e le vicende che coinvolsero l’intero comprensorio.
Meritano una visita la Chiesa Madre, dedicata a San Tommaso Apostolo, la cui costruzione risale al XII secolo, ma completata solo nel XVI. Una struttura a croce latina rivolta a nord della città che conserva diverse pregevoli opere d’arte. Severa fuori e magnifica dentro, custodisce stucchi di pregio, marmi e tele, simbolo dello spendore di un tempo; la Chiesa di San Rocco (del 1700) con la statua del Santo, proclamato patrono del paese il 18 aprile 1683 per volere dei Branciforte. Ogni anno il 16 di agosto, durante i festeggiamenti in suo onore, arrivano a Butera tanti pellegrini che seguono la processione a piedi scalzi. E poi c’è la Chiesa di San Francesco, la più antica del paese, edificata dai primi normanni cristiani e destinata poi ai monaci francescani.
Allontanandosi verso la zona nord del centro abitato si può raggiungere la necropoli del Piano della Fiera. Scoperta nel 1953 dall’archeologo rumeno Adamesteanu, conserva reperti di sepolture, a partire dalla metà del IX, che mostrano le profonde mutazioni dei riti fino ad arrivare alla fine del VII secolo a. C., quando la necropoli non fu più utilizzata. Fatto che sembra confermato dalle numerose testimonianze, risalenti al IV e III secolo, che attestano la prosperità di Butera in quel periodo.
Lasciando il paese, si può raggiungere la costa e arrivare a Marina di Butera. Otto chilometri di spiaggia tra Gela e Licata dove oggi sembra avviarsi un discreto sviluppo turistico, grazie alla realizzazione di alcuni villaggi turistici, ma soprattutto per il terroir esclusivo delle antiche terre del Feudo Deliella. Dove si producono vini di classe mondiale capaci di esprimere tutta l’anima e la forza della Sicilia.
Lungo il litorale, su un promontorio svetta il Castello di Falconara, una fortezza medievale più volte utilizzata come set di diversi spot pubblicitari per la sua posizione suggestiva: è l’unico maniero della provincia di Caltanissetta ad affacciarsi sul mare. Edificato nel XIV secolo, ma modificato e ampliato più volte dai signori che l’hanno posseduto, il castello “della Falconara” (la sua torre veniva usata per l’allevamento dei falconi) è passato dai Santapau ai Branciforte e ai Chiaramonte Bordonaro. Oggi viene utilizzato come location per eventi e residenza temporanea con un trattamento da bed and breakfast.
C’è ancora un’ultima tappa da non perdere a Butera, su una collina alla riva sinistra della valle Salso. E’ sito la miniera dismessa di Muculufa, che fu teatro di incidenti molto gravi, così come tante altre solfare della provincia di Caltanissetta.
Un po’ di storia Le origini di Butera sono assai remote, risalgono alla prima metà dell’era del bronzo (200 a.C.). Si presume sia stata edificata da Re Bute, il primo Re dei Siculi, che avrebbe dato all’antico borgo l’attuale nome, ma non vi è storico che abbia potuto documentare la sua nascita fino alle dominazioni più note. L’ipotesi più accreditata è che il suo toponimo possa derivare dalla parola araba Butirah, ovvero luogo scosceso.
Fu tra le città più importanti della Sicilia del Medioevo. Ricca e popolosa, la Butirah araba, quando arrivarono i Normanni, divenne la contea della più potente famiglia lombarda venuta al seguito della terza moglie di Ruggero. Distrutta nel 1161 da Guglielmo I e ripopolata con gli Svevi, fu al centro di una contesa fra Angioini e Aragonesi.
Successivamente, passò in mano a tre grandi casati: i Santapau, i Bracinforti e i Lanza. Fu nel 1543 che il re di Spagna Filippo II nominò Ambrogio Branciforte principe di Butera, una dinastia fu tra le più importanti della storia siciliana. Si stima che tra il 1700 e il 1800 la ricchezza dei Branciforte corrispondesse a circa il 10 per cento del reddito di tutta l’isola. Una ricchezza che divenne smisurata con il matrimonio di Stefania Bracinforte e Giuseppe Lanza, riunendo in una sola casata decine di titoli nobiliari, centinaia di feudi e migliaia di ettari di terra.