Agrigento, la più bella città dei mortali all’ombra dei Templi

 

 

SICILIA DELLE MERAVIGLIE Dalla collina dove sorge basta percorrere qualche centinaio di metri per trovarsi come in paradiso. La città giace su uno dei più grandi lasciti della civiltà greca in Italia: la Valle dei Templi. Eppure Agrigento continua a somigliare a una donna timida che cerca di nascondere la sua bellezza, puntualmente svelata dal suo fascino naturale.

Ce lo hanno detto mille volte che ogni viaggio è un’esperienza irripetibile e sacrosanta perché un esilio salutare volontario, un compendio irrinunciabile della nostra vita. Ma è necessario ricordarsi che nella Città dei Templi il viaggio deve essere assaporato con calma, avendo cura di alternare momenti di storia e di natura per riuscire a capire quanto il lontano passato, con i suoi miti e le sue leggende, sia un tutt’uno con la vita reale di oggi. Chi arriva per la prima volta riesce a “toccare” una terra seducente e misteriosa; per chi invece la conosce già, presto o tardi, sarà l’approdo dove ritornare con orgoglio dopo una vita passata lontano. Lo sapeva bene Pirandello, che la consacrò con parole di malinconia: “Guarda le cose anche con gli occhi di quelli che non le vedono più! Ne avrai un rammarico, figlio, che te le renderà più sacre e più belle”. Chiunque abbia la fortuna di arrivare o tornare, attraversando la sua natura silente e ambigua, resterà senza parole. Con il fiato appeso respirerà secoli di storia, mettendo insieme credenze, costumi, gusti, sapori, feste e stili di vita che furono degli antichi greci, dei romani, e poi degli arabi e normanni. Insomma, Agrigento vale le fatiche di un lungo viaggio.
Senza parole rimase il poeta greco Pindaro quando scrisse di Akragas in una delle sue odi: «Te prego, o splendida, più bella tra le città dei mortali». E senza parole restò anche Goethe, quasi 2.400 anni dopo la fondazione della città nel 580 a.C: «Mai visto in tutta la mia vita uno splendore di primavera come stamattina al levar del sole… Dalla finestra vediamo il vasto e dolce pendio dell’antica città tutto a giardini e vigneti…Soltanto all’estremità meridionale di questo pendio verdeggiante e fiorito s’alza il tempio della Concordia, a oriente i pochi resti del Tempio di Giunone; ma dall’alto l’occhio non scorge le rovine di altri templi … corre invece a sud verso il mare».
Tra la musica delle cicale, le colline brulle e le alture sinuose, che da Trapani a Siracusa si spingono verso il mare luccicante, ci si ritrova in uno dei luoghi più seducenti della Magna Grecia. Qui la storia non si è mai fermata. Perché dopo i greci, che la chiamarono Akragas già dalla sua fondazione, arrivarono i romani battezzandola Agrigentum. E poi gli arabi, che ne cambiarono il nome con Kerkent (o Gergent), e i normanni con il toponimo Girgenti. Finché divenne Agrigento, storpiando il nome latino Agrigentum, nel periodo fascista. Era nata come colonia gelese, ma l’Akragas dei greci divenne in poco tempo un grande impero fondato sugli ipogei, di cui ancora si raccontano strane leggende. Erano cunicoli sotterranei scavati nella roccia di calcarenite, che servivano ad alimentare i bisogni idrici della città, un’opera imponente che offriva materia prima ai palazzi e ai templi costruiti in superficie. Anche al famoso giardino della Colimbetra, un’antica peschiera con giochi d’acqua, trasformato in un grande oasi, ricca di alberi da frutto e di agrumi.

Oggi come allora, Akragas è rimasta terra di leggende, di eroi e letterati. Uno su tutti Luigi Pirandello, premio Nobel dal 1934. Dall’Agrigentino, fino ad arrivare a Caltanissetta, sono fiorite pagine di letteratura e di teatro dei più grandi autori siciliani, come Leonardo Sciascia, Antonio Russello, Pier Maria Rosso di San Secondo, Andrea Camilleri e Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Pagine che si possono rileggere percorrendo “La Strada degli scrittori” e visitando palazzi, castelli, teatri, musei e i luoghi che più hanno amato questi grandi autori.
La città di oggi non ha mai abbandonato il suo fascino e le sue bellezze. La lista di luoghi di interesse storico, artistico e archeologico è lunga: chiese, palazzi, musei, luoghi archeologici, e poi fontane, monumenti, piazze e dedali di viuzze e cortili.
La Valle dei Templi è senza dubbio il luogo più emozionante. Arrivando di giorno, ci si trova catapultati in un’altra dimensione, maestosa e “divina”, che di notte, percorrendo il viottolo tra il tempio dei Dioscuri e quello di Giunone, si carica di suggestioni dolci e romantiche. Mitologia e sacralità si respirano dappertutto, tra pietre millenarie e grandiosità dei templi, che al tempo di greci e romani erano simbolo di potere, ma che oggi danno l’idea di una città complessa e irrisolta, sorprendentemente riservata e lontana dalla consapevolezza di Palermo, il capoluogo della Sicilia. Lo scenario è di una natura aspra e selvaggia, che si colora solo a primavera con i fiori del mandorlo, a cui è dedicata una grande festa, la “Sagra del Mandorlo in fiore”, conosciuta ormai in tutto il mondo.

Ma Agrigento non è solo Valle dei Templi. La città possiede numerosi luoghi di culto, che in molti casi rappresentano un’immagine chiara delle tante civiltà che qui hanno trovato dimora. Ne è un esempio la Chiesa di San Biagio, all’estremità orientale della “Rupe Atenea”, su una piattaforma scavata nella roccia e costruita sulle fondazioni di un tempio dorico dedicato a Demetra risalente al V secolo a.C.; poi modificata nel XII secolo nel periodo arabo-normanno. Da una piccola scalinata vicino la chiesa, si arriva alle rovine del tempio di Demetra, scoperto meno di un secolo fa, nel 1926; il santuario risale al VII secolo a.C. ed è il più antico di Agrigento, anteriore anche alla fondazione della città stessa. Nella collina di fronte, dietro le vasche del tempio scavate nella roccia di tufo, si possono ammirare due ingressi di altrettante grotte, che si prolungano per oltre una ventina di metri.

Nel centro storico della città, lungo la via Atenea, si scopre l’anima autentica della della città e della sua gente, fatta di strade tortuose e acciottolate, di edifici storici e chiese, di colori e di profumi incantevoli. Quasi subito ci si imbatte in un complesso monumentale di epoca medievale costruito su due livelli e utilizzando solo materiali locali, pietra calcarea arenaria e malta bastarda. E’ il monastero di Santo Spirito, con il suo incantevole chiostro, fondato nel 1299.
Poco più avanti c’è la settecentesca Chiesa di San Lorenzo (o del Purgatorio), un vero e proprio gioiello barocco, di cui si può apprezzare soprattutto la facciata, ricca di fregi e decorazioni; all’interno custodisce numerose pitture e stucchi, di particolare pregio quelli del Serpotta. E poi ancora, statue in oro (di notevole carica espressiva quelle che rappresentano le otto virtù); una cupola maestosa affrescata da Michele Narbone che sovrasta la navata, dove si svelano quattro cappelle; e il presbiterio, con affreschi delle anime del Purgatorio.
Spostandosi in piazza Pirandello, imperdibile palazzo dei Giganti, che ospita il teatro Pirandello, uno dei palazzi più antichi e più belli della città. Edificato nel 1627, il palazzo fu inizialmente la residenza agrigentina della famiglia Tomasi dei Principi di Lampedusa e duchi di Palma, poi divenne un convento dei domenicani, e nel 1867 sede del comune.
Rimanendo nel centro storico, vale la pena visitare anche la Chiesa di Santa Maria dei Greci, frutto anche questa del crogiolo di civiltà che la città ha ospitato; fu edificata nel 1200 sulle rovine di quello che era un tempio dorico. Risalendo la collina, si può arrivare alla Cattedrale di San Gerlando, consacrata originariamente alla Madonna Assunta. Costruita nel 1094, in piena epoca normanna, e utilizzata come presidio militare, la cattedrale rappresenta una felice sovrapposizione di stili di epoche diverse, da quello svevo a quello aragonese.

Appena fuori dal centro storico, si trova invece la Chiesa di San Calogero, uno dei luoghi sacri più importanti della città, costruita tra il XIII e il XIV secolo. Le piccole dimensioni dell’edificio non nascondono la sua particolare bellezza: una cappella, ornata da preziosi stucchi e mosaici policromi e dorati e un’altare in legno pregiato.

Un po’ di storia Le origini di Agrigento risalgono alla preistoria, come testimonia il recupero di frammenti ceramici dell’antica età del bronzo e del rame. Le prime testimonianze della civiltà greca (VII secolo a.C.) si possono rintracciare invece nella necropoli di Montelusa. La polis nacque solo nel 581 a.C. grazie a un gruppo di coloni arrivati da Rodi e Gela, che la collocarono a metà strada tra Gela e Selinunte per controllare la costa e proteggere il territorio dai cartaginesi.

A lungo governata da tiranni, come Falaride, che costruì una cinta muraria di cui restano ancora molte parti visibili, dando forma al primo nucleo urbano, la città fu segnata da numerose battaglie puniche, che terminarono con la battaglia di Himera.

L’antica Akragas raggiunse il suo massimo splendore con Terone (488-472 a.C)., a cui si deve l’ampliamento della Valle dei Templi. Ma nel 406 subì l’ennesimo attacco dei cartaginesi, che la conquistarono e la dominarono fino al 310 a.C., quando il corinzio Timoleonte, nel suo programma di liberazione della Sicilia, la riconquistò.
Da allora, si susseguirono molte dominazioni, fino all’insediamento dei romani nel 210 a.C., che gettarono le basi di una città fiorente, al centro di scambi commerciali e culturali. Verso la fine del VII secolo, gli abitanti abbandonarono le residenze a valle per trasferirsi sulla collina dell’acropoli: fu il primo nucleo abitativo d’impronta araba che nel IX secolo divenne capitale dei berberi di Sicilia. Una presenza significativa che si può ancora rintracciare nell’architettura del centro storico con i suoi tortuosi vicoli e numerosi cortili, ma anche in molti toponimi, come via Bac Bac, Porta Bibirria (da Bab-er-riiah, la Porta dei venti) o il quartiere del Rabato. Nell’XI arrivarono invece i normanni, che favorirono gli scambi commerciali con il Nordafrica e la riaffermazione della Girgenti di allora nell’Isola.

Di Stefania Sgarlata