SICILIA DELLE MERAVIGLIA Otto volte ha cambiato il suo toponimo. Fu la Lindos dei primi coloni nel VII a.C., la Gela dei greci, la Massa Gela dei romani e la Città delle Colonne per gli arabi. Intorno al 1550 si chiamò Terranova e tre secoli dopo Terranova di Sicilia per non confondersi con altre città italiane omonime. Alla fine, nel 1927, tornò ad essere la Gela del Nisseno di oggi*, probabilmente in omaggio ai fasti dell’antica civiltà mediterranea.
Conosciuta ai più per l’espansione urbanistica dissennata e per il polo petrolchimico Eni (ormai dismesso), forse in pochi sanno che il golfo di Gela è il più grande della Sicilia; che il suo pianoro, il secondo nell’Isola per estensione, è attraversato da numerosi corsi d’acqua di origine torrentizia; che la città è una delle più antiche di Sicilia e fu una delle più influenti polis del mondo greco, di cui Gela conserva preziose testimonianze archeologiche, monumentali, sommate a quelle naturalistiche, che si mostrano subito sul lungomare del golfo su cui la città si affaccia. Dove sulla sabbia “colore della paglia” si stendeva da fanciullo “con molti sogni nei pugni stretti nel petto” il poeta Salvatore Quasimodo, che nella città frequentò “le prime scuole”:
Sotto la sua terra sabbiosa c’è una ricchezza sepolta. A partire dalle civiltà riaffiorate con la “trovatura” di statue, monete, anfore, monili e planimetrie dell’antica città.
L’ultima trovatura nel 2014: trentasei lingotti di oricalco (un metallo pregiato del VI secolo prima di Cristo) rimasti seppelliti sotto strati di sabbia e ritrovati nelle profondità del suo mare. Gli studiosi sono tuttora alle prese per spiegarne il ritrovamento. Si tratta dello stesso metallo di Atlantide, quel grande continente scomparso nell’oceano assieme alla sua grandissima civiltà e ai sui segreti dopo una immensa catastrofe naturale. Leggenda vuole, per alcuni, che le cime più alte delle sue montagne sarebbero riaffiorate nella superficie marina trasformandosi in isole, per altri è solo un luogo inventato da Platone, nonostante il filosofo greco offra riferimenti storici precisi. L’ipotesi dell’archeologo siciliano Sebastiano Tusa è che i lingotti stavano arrivando a Gela per essere lavorati da un artigiano locale, quando la nave che li trasportava affondò, forse per il maltempo.
Potrebbe sembrare anacronistico parlare di “trovature”, ma a Gela non è così difficile imbattersi in antichi tesori sepolti, che spesso però finiscono nelle mani di privati anziché nei musei. Così come potrebbe essere un errore grossolano confinare la “trovatura” tra le credenze popolari. “Là dove sono ruderi di antichità greche o avanzi di dominazione araba, o resti d’un vecchio edificio qualunque – scrisse l’antropologo Giuseppe Pitrè – si è certi di trovare siffatti tesori, nascostivi dai padroni che li possedettero e che non poterono trafugarli in altra terra o portarli all’altro mondo”.
Non solo monili, anfore e lingotti però, ma intere città. Come l’acropoli della Gela arcaica rinvenuta sulla collinetta di Molino a Vento. Ospitò fino al 405 a.C. gli edifici sacri della città, dai quali provengono i reperti conservati nel Museo archeologico della città, popolandosi più tardi di case e negozi nel periodo di Timoleonte. Tra le scoperte più significative dell’acropoli anche i resti di due templi in stile dorico, di cui uno certamente consacrato ad Athena del VI secolo a.C., oltre ai ruderi di antiche case.
Sono tanti i beni archeologici, vale la pena visitare anche le Mura di Timoleonte (presumibilmente del V sec. a.C.). Sono le fortificazioni greche di Caposoprano scoperte tra il 1948 e 1954 e considerate uno degli esempi più straordinari e meglio conservati dell’architettura militare antica; il complesso termale dei bagni greci, scoperto nel 1957 e il Castelluccio (un antico documento di donazione è datato 1143). E poi ancora la Torre Manfria, costruita come sentinella a partire dal 1554 dal viceré Giovanni Vega insieme ad altre torri per proteggere dalle incursioni nemiche le coste. Erano disposte sul litorale in modo da essere visibili tra di loro e gli uomini messi a guardia, di notte, avevano il compito di avvisare della minaccia la città più vicina accendendo tanti fuochi quante erano le navi nemiche avvistate di giorno. Tutte le torri perciò comunicavano tra loro e in meno di un’ora il tam tam del pericolo faceva il giro dell’isola.
Tra architettura, affreschi, portali e trovature, anche le chiese storiche svelano la ricchezza di un periodo luminoso e di grande espressione artistica. Si possono apprezzare nel centro storico, dove sorgono diversi edifici religiosi. La Chiesa Madre, che conserva antichi documenti a partire dal 1500 e diversi gioielli preziosi: dal dipinto bizantino che ritrae la Santa Patrona della città, all’altare maggiore in marmo policromo misto a vetro, oltre a una cripta trecentesca. La trecentesca chiesa dei Cappuccini con prospetto neogotico e la facciata del 1944, dove sono custoditi i due dipinti attribuiti a Luigi Borremans e al Paladini. La settecentesca chiesa del Carmine, con il suo pregevole crocifisso ligneo del quattrocento, ritenuto dagli abitanti miracoloso.
Accanto al Palazzo di Città, spicca invece la chiesa di San Francesco d’Assisi: costruita nel XIII secolo, conserva un pregevole soffitto a cassettoni ornato in oro zecchino, tele attribuite allo Zoppo di Gangi, al Paladini e a D’Anna, e un’acquasantiera del XVI secolo, probabilmente opera dei Gagini. Su corso Vittorio Emanuele poi c’è la Chiesa del Rosario: costruita tra il Settecento e l’Ottocento, conserva una torre campanaria decorata con maioliche e tre portali di pregio. Di recente sono state scoperte sotto il pavimento diverse sepolture gentilizie.
Altre opere si possono ammirare anche a San Francesco di Paola, chiamata dalla gente del luogo anche Chiesa del Santo Padre, e nella quattrocentesca chiesa di Sant’Agostino, dove si possono apprezzare diversi dipinti e statue del XVII secolo, oltre ad una splendida acquasantiera in marmo del 1541 attribuita al Gagini.
E’ tutto questo la ricchezza di Gela, vissuta fino a qualche mese fa all’ombra della raffineria, ma che oggi ha abbandonato il petrolio per trasformarsi in green refinery grazie ad un progetto di bonifica e di riqualificazione ambientale.
La città di oggi è ripartita dal suo capitale umano e naturalistico. Agli occhi più attenti non sfugge l’orgoglio di appartenenza della sua gente, da cui trapela tutta la consapevolezza di essere un po’ “speciale” per la ricchezza della propria identità, la stessa di quando la città era la polis greca che formava coscienze, costruendo valori, arte e storia. Così anche per i gelesi emigrati. Per loro nulla è cambiato: il tempo non ha mai cancellato quell’orgoglio, lasciando intatti i legami di parentela e di cuore.
Così come non sfugge al viaggiatore curioso che un tempo Gela fosse un’oasi fiorente anche fuori dall’abitato per le sue straordinarie risorse paesaggistiche. A pochi chilometri dal centro urbano, nascosta tra le dune della macchia mediterranea (dette macconi), c’è una delle zone umide più interessanti del Mediterraneo: il lago del Biviere, diventato Riserva naturale protetta nel 1997 grazie all’intervento della Lipu. E’ un lembo di territorio graziato dalla natura con circa 200 specie di uccelli e piante uniche al mondo, sopravvissuti all’incuria, ai rifiuti tossici e alle continue insidie bracconieri nonostante i vincoli ambientali e i riconoscimenti ottenuti. Ma che presto torneranno anche loro a una nuova vita.
Nel 1995 un decreto del presidente della Repubblica l’ha definita “un’area naturalistica importante che mostra un’elevata ricchezza e varietà biologica”. E la convenzione di Ramsar l’ha dichiarato sito di interesse comunitario.
Nel 2007, il dipartimento di Botanica dell’Università di Catania ha scoperto la presenza di una nuova specie vegetale, che non esiste in nessun’altra parte del mondo.
Un po’ di storia I primi insediamenti risalgono al V millennio a.C.. Ma la città è storicamente legata alla colonia dorica del VII secolo a.C., distrutta dai Cartaginesi per due volte tra il 406 a.C. e il 311 a.C.. Sui ruderi della Gela ellenica fu ricostruita nel 1233 da Federico Il di Svevia con il nome di Heraclea. Tra il XVII e il XIX secolo, la città dopo una serie di vicissitudini fu isolata, allontanandosi dai fasti e dalla prosperità di quando era la più grande polis greca e il ricchissimo centro commerciale, culturale e artistico del Mediterraneo.
Solo nel 1927 la città riprese il suo antico nome ellenico Gela. Con il ritrovamento delle fortificazioni greche di Capo Soprano e la scoperta dei giacimenti petroliferi nel 1956, assieme e alla costruzione del petrolchimico Eni, che cambiò il volto della città, la città tornò ad espandersi.
*A settembre del 2015 Gela (Caltanissetta) aveva aderito alla Città metropolitana di Catania. Il passaggio, che non è stato confermato dal parlamento siciliano, ad oggi è oggetto di dibattito.