Author Archive
Anche se le spoglie di tanti suteresi sono altrove, in luoghi remoti dall’altra parte del mondo, i loro famigliari possono ricordarli dinanzi alle lapidi commemorative del Muro del ricordo, realizzato nel cimitero di Sutera. Inaugurato dall’amministrazione comunale il 2 novembre del 2010, ci sono già dieci lapidi. In una si legge: “L’universo è una patria troppo grande e fredda per creature così precarie come siamo noi, il paese viceversa ci restituisce alla nostra misura di uomini, ci giustifica, ci garantisce… non fosse altro una lapide.”
Tutti i gli abitanti del piccolo centro agrigentino possono richiedere una pietra sepolcrale, anche figli di suteresi che vivono all’estero, ma desiderosi di mantenere il legame con il paese d’origine.
Le immagini raccontano il rapporto intimo e profondo tra il mare e la città mantenuto per secoli, specchio delle abitudini e dei costumi di oggi dei suoi abitanti. Quella che un tempo nacque infatti come “caricatore” del suo capoluogo, il cui molo serviva per le esportazioni dello zolfo, oggi è un grande centro abitato, con i sui palazzi e le sue chiese, un fiorente porto commerciale e un centro peschereccio importante, i cui prodotti sono venduti nei maggiori mercati nazionali.
Credit Daniele Rosapinta
Un viaggio nel centro storico della città dei Templi, attraversando scene di vita quotidiana per abbracciare il calore e i colori scolpiti tra i vicoli e i quartieri. Una narrazione per immagini che riassume un modo di intendere la vita, le tradizioni, la religiosità e le abitudini di quartiere di una comunità, da cui traspare tutta la commozione di quell’anima popolare che da secoli mantiene intatto lo scorrere del tempo con il ritmo naturale della vita.
Credit Daniele Rosapinta
Un errore largamente diffuso è pensare che la vita semplice sia facile, la vita complicata difficile. Il più delle volte è vero il contrario, ma la sua bellezza rimane.
Scrisse Robert Louis Stevenson: “Le cose migliori nella vita sono le più vicine: il respiro nelle narici, la luce nei tuoi occhi, i fiori ai tuoi piedi, gli incarichi nelle tue mani, il sentiero del bene proprio davanti a te. Allora non cercare di afferrare le stelle, ma svolgi le semplici cose della vita come vengono, sicuro che le funzioni quotidiane e il pane quotidiano sono le cose più dolci della vita”.
La vita “reale” di Ioppolo ne è una rappresentazione autentica.
Credit Daniele Rosapinta
Raffadali (Agrigento), il centro storico delll’antico feudo normanno della famiglia Montaperto, offre l’atmosfera di un tempo immortalata nella mirabile operosità della sua gente, sempre pronta a rimettersi in gioco. Con coraggio e perseveranza, specchio della loro natura e della loro piccola città, dove tutti si conoscono e condividono le stesse abitudini, ritrovandosi nei bar o in piazza senza appuntamento per chiacchierare di cuore. Usanze che diventano un patrimonio, fatto di luoghi di affezione, di associazionismo e di partecipazione.
Credit Daniele Rosapinta
Nel bel mezzo di un luogo straordinario diventato oggi “Riserva naturale delle Macalube”, dove una volta i carusi (ragazzi) delle solfare giocavano tra i vulcanelli, aspettando il crepitio delle bolle di argilla, lì dove Ciàula, di Pirandelliana memoria, una sera scoprì la luna vicino alla miniera Taccia Caci.
Una passeggiata a scatti tra le viuzze, le chiesette del centro storico e le vecchie case mai abbandonate dei tanti solfatari emigrati, sempre pronte per accoglierli d’estate per le loro vacanze.
Credit Daniele Rosapinta
Santa Elisabetta dall’entrata del paesino fino ad arrivare nelle stradine del centro storico. Se si è distratti, alla prima occhiata la Sabetta di oggi appare piuttosto recente perché la sua è una storia mai custodita nei libri, ma rimessa allo scorrere dei secoli e ai miti tramandati dalla gente che ha abitato in quei luoghi. A partire dalla leggenda di Minosse che sarebbe sepolto nelle viscere del monte Guastanella, (dal minoico Wastanedda, la “città del re”), che oggi, per le sue bellezze archeologiche e ambientali, regala a questo lembo di territorio una grande nomination nella lista dei monumenti mondiali da tutelare della World Monuments Watch List.
Credit Daniele Rosapinta
Un antichissimo borgo contadino poco conosciuto, a Sud dei monti Erei, che ha attraversato più di una vita, passando dalla sofferenza di terra selvaggia con il nome di Rahal-Met (casale abbandonato), utilizzata per secoli e poi abbandonata, a città di Altariva nel 1700, risorgendo più tardi chiamandosi di nuovo Riesi grazie alla tenacia della sua gente, stoicamente ribelle, che non si è mai arresa.
Il paese di oggi ricorda ancora i silenzi di una volta, quando la sua terra era solo una tappa per cambiare i cavalli, rifocillarsi e trasportare frumento, olio e legname, da Enna fino al porto di Licata, passando da Barrafranca e Ravanusa. Così anche la sua gente, che rimanda ai “segreti” della loro vita, diversa da tutti gli altri paesi, vissuta con forza e caparbietà, come nascosta per secoli tra il sali e scendi delle loro vallate.
Credit Daniele Rosapinta
L’antichissimo feudo che un tempo fu nobile contea e “Città del castello”. Una passeggiata in un mondo silenzioso e lontano da tutto, tra le stradine acciotolate, le chiese del suo centro storico e i luoghi della sua “vita reale”. Abbarbicato su un’alta collina, l’antico borgo è circondato a strapiombo da valloni che dominano la Piana di Gela, in un paesaggio che ridisegna la sua storia rurale ed economica legata alla produzione di vini prestigiosi. Arrivarci non è facile, ma una volta lì, non lascia indifferenti.
Credit Daniele Rosapinta
Luogo di fede, leggende e solfatari. Perché mai si dovrebbe desiderare di venire, tornare o rimanere in questo piccolo borgo di appena 5000 anime? Le immagini ce lo raccontano, raccogliendo in pochi scatti la vita del paese: niente smog e niente chiasso; pane, uova di giornata e verdura appena raccolta venduti porta a porta; e poi due chiacchiere con i vicini, un caffè al bar e una fermata sui sedili della piazzetta per godere, con il fiato sospeso, di uno dei litorali più lunghi e più belli della costa agrigentina le tante bellezze naturali. Una su tutte la Scala dei Turchi: quel “monumento della natura” bianco scintillante conosciuto nel mondo grazie al commissario Montalbano di Camilleri.
Credit Daniele Rosapinta
Piccolo, solitario, dall’anima colorata dentro e fuori, in ogni angolo di questo paesino affiora un’attività costante di mecenatismo dei suoi amministratori, che lo hanno riempito di tutto quello che serve al benessere della comunità e ad attrarre i visitatori, ma anche di quello che “non serve”: dalle Case museo alle sculture a cielo aperto, realizzate da artisti di tutto il mondo. C’è anche un Parco scientifico, per “viaggiare” nello spazio alla scoperta di fenomeni straordinari e dei misteri dell’universo.
Montedoro è una una boccata di senso civico e di socialità che difficilmente si può incontrare nel resto del Paese.
Credit Daniele Rosapinta
Un paesino di appena tremila anime, sparse tra un centro urbano e tredici villaggi, che la gente del luogo chiama ancora robbe. Unica, misteriosa e bucolica, sembra evocare l’atmosfera di un tempo, quando la vita reale dei cascinali si intrecciava con i racconti degli anziani di storie e leggende, che rivivono ancora oggi tra i milocchesi più giovani.
Siamo nell’entroterra siciliano, nel cuore della riserva naturale Monte Conca, tra le colline coltivate a grano e le acque del fiume Gallo d’Oro. Qui il tempo sembra essersi fermato a un secolo fa. A rimettere in moto la macchina del tempo le piccole abitudini quotidiane, le stesse di sempre: un caffè al bar, la messa della domenica e la cura del proprio orto vicino a casa.
Credit Daniele Rosapinta
Ieri fu la terra delle alchimie dello scienziato Giovan Battista Odierna, che la puntellò di luoghi sacri come una costellazione, seguendo i buoni auspici che l’astrologia e l’astronomia dell’epoca suggerivano: doveva essere la nuova Gerusalemme. Oggi, le antiche case di malta e le chiese di tufo mescolate agli edifici più nuovi sembrano avere cancellato quella principesca “dolce e disperata Donnafugata” descritta da Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo. Ma percorrendo le stradelle inerpicate del paese, alla scoperta dei luoghi vissuti dai Salina, la memoria riporta subito alla loro vita dorata e ai profumi di quel tempo, un po’ mediterranei e un po’ coloniali.
Credit Daniele Rosapinta
Un antico borgo a una manciata di chilometri dalla riserva naturale del Lago Sfondato, a ridosso degli ultimi lembi dello storico bosco di Mimiani, ricordato in diverse opere del Seicento per l’abbondanza della selvaggina, dei pini, dei carrubbi e dei mandorli. Siamo nella terra dei Giganti (gli apostoli) di cartapesta, che sfilano la Domenica di Pasqua per rappresentare l’incontro di Gesù Risorto con la Madonna e la Maddalena. Un’antichissima tradizione che risale intorno al XVIII secolo.
C’è tutto un mondo nella pancia di San Cataldo fatto di devozione, tradizioni popolare e folclore. Ieri era anche il mondo dei picconieri e di Ciaula, il caruso di Pirandelliana memoria. Oggi è un mondo nuovo, che al suo capitale ambientale aggiunge le emozioni delle aree occupate dalle vecchie miniere dismesse, ormai riconvertite in due musei a cielo aperto, dove si possono ammirare reperti di archeologia solfifera mineraria.
Credit Daniele Rosapinta
Arroccato sul monte Cammarata, nel cuore del Vallone, l’antica Manfreda è il paese delle Chiese: diciassette luoghi di culto, per undicimila abitanti, disseminati lungo il territorio tra i vicoli, i palazzi storici e le case serrate una all’altra.
Ogni angolo di questo antico feudo profuma di culto e mistero. Suggestioni che vivono ancora intatte in un magnifico castello manfredonico, incapsulato nello sperone di una rocca calcarea a forma di “Nido dell’aquila”, circondato da una natura impervia e isolata. Dove aleggiano strane leggende di anime vaganti di cavalieri, dame e principesse che si aggirano tra le stanze. Ancora oggi qualcuno dice di sentire parole, echi e suoni.
Credit Daniele Rosapinta